La neo “pandemia” da COVID-19 ha portato le scuole italiane, adesso chiuse per il possibile contagio, ad affidarsi a nuovi metodi di insegnamento messi a dura prova da banali problemi di connessione e di audio. L’istruzione è ora delimitata da uno schermo luminoso, come quello di un computer, di un tablet o di un telefono; si tratta di metodi che, dunque, non permettono l’incontro frontale, faccia a faccia, tra docente e discente. Questo cambiamento, dalla classe abituale e fisica a quella digitale, è un po’ come il cambiamento dal teatro al cinema, in cui nel primo puoi vivere pienamente l’opers, mentre nel secondo ti senti limitato dallo schermo: cerchi forzatamente di viverlo al meglio. Ma questo non può che far gioire gli alunni svogliati e immaturi che con un semplice “click” hanno una scusa pronta per non partecipare alle lezioni o di non condividere i propri lavori con i professori.
Le relazioni con i compagni e docenti non sono più come prima della pandemia. Le continue discussioni e vicissitudini che riempivano la nostra memoria di ricordi significativi, adesso sono quasi del tutto assenti perché vengono sostituiti da voci tratteggiate e segnali di una fotocamera spesso rotta o disattivata.
Dobbiamo ammettere che questa temporanea condizione di studio ci sta portando verso nuovi orizzonti della tecnologia. Le fotocopie, i quaderni che prima personalizzavamo con scarabocchi e disegni, ora sono stati sostituiti da materiale digitare che spesso si fa fatica a scaricare e a stampare. Le audiolezioni, che ci aiutano a comprendere i concetti che in videolezione non hanno avuto tempo per essere spiegati, sono di enorme importanza per arricchire riflessioni e testi.
Ma bisogna ammettere che sono le esperienze vissute a scuola quelle che ci formeranno e ci faranno crescere: gli insegnamenti dei professori, il rapporto quotidiano con i compagni con cui ci si confronta, si discute e spesso si litiga, sono quelle esperienze che ci porteranno ad essere quello che noi saremo.
Rubini Valeria Pia, 3F