Il mio viaggio ad Auschwitz. Video

Le fotografie che avete visto nel video sono tutte originali e attuali poiché sono state scattate da me, l’estate scorsa, durante la mia visita ad Auschwitz.

Inizialmente non ero così entusiasta di dover visitare durante le vacanze un posto del genere, ma una volta giunta lì, ho dovuto ricredermi ed ora sono fiera e soddisfatta di aver avuto l’opportunità di “toccare” dal vivo quel  momento  che ha segnato, anche se in negativo, la storia dell’umanità, permettendo a tutti, a me per prima, di comprendere l’assurdità di una simile tragedia basata sull’odio razziale.

Non bisogna, infatti, pensare che ignorare questo passo doloroso della storia o cercare di averne contatti il meno possibile , sia la giusta soluzione per dimenticarlo perché, al contrario, è fondamentale conoscere ciò che è successo e come è avvenuto , per evitare che si verifichi nuovamente.

Il primo importante impatto con il campo di concentramento di Auschwitz si è verificato nel momento in cui sono passata sotto la famosa scritta posizionata sul cancello di ingresso “Arbeit Macht Frei” cioè “Il lavoro rende liberi”. È davvero un grande paradosso: i deportati non erano lavoratori bensì schiavi e, di certo, non potevano definirsi liberi!

È stato anche strano ed emozionante camminare tra i viali costeggiati da edifici adibiti a dormitori per i prigionieri, camere e uffici dei generali ecc. e che, attualmente, conservano, all’interno di alcune grandi teche, anche tanti oggetti appartenuti agli ebrei deportati che al loro arrivo al campo venivano privati di tutto: ho osservato ammassi di valigie spesso dotate di nome e indirizzo del proprietario, utensili, scarpe, abiti, occhiali e addirittura capelli. C’era un ammasso di capelli che, certamente, è stata una delle cose che mi ha impressionata di più.

Poter camminare tra quei viali circondati dal filo spinato è stata davvero un’occasione particolare che penso non scorderò mai per quanto sia toccante; quando sono arrivata dinanzi al muro dove venivano eseguite le fucilazioni , ho trattenuto a stento e inutilmente le lacrime: sono immagini che spesso vediamo nei film ma viverle di persona è davvero un’altra cosa…

Infine sono giunta alla camera a gas che, nascosta sotto una collinetta erbosa, racchiudeva le urla di milioni di ebrei. Sono entrata in quella grande stanza spoglia nella quale la luce filtrava soltanto attraverso delle finestrelle sul tetto: da quei buchi veniva gettato lo Zyklom B, il gas letale per la vita. Da lì poi si accedeva al forno crematorio che era rimasto intatto e che mi ha fatto provare un brivido, non riuscivo a capacitarmi che quel che avevo davanti era stato il mezzo con cui erano stati uccisi  milioni di ebrei.

Per quanto riguarda Birkenau, invece, è stato curioso, seppure si parli di un avvenimento tragico, percorrere i famosissimi binari che portano direttamente all’interno del campo di sterminio. Ho avuto modo di verificare con i miei occhi la  mancanza di privacy e il sentimento che gli ebrei potevano provare vedendosi costretti ad utilizzare quelle latrine che mi si pararono dinnanzi : semplici buchi in una panca, uno accanto all’altro, capisco che sia difficile crederci… o magari a dormire ammassati in piccole cuccette che non potevano neanche definirsi letti…

Chiaramente ho anche riconosciuto i resti di quelli che erano i cinque forni crematori di Birkenau, distrutti dai tedeschi prima dell’arrivo dei russi, le cui pareti sotterranee, però, erano ancora facilmente riconoscibili ed anche in quel momento non ho potuto provare che un senso di colpa e di vergogna, come un groppo in gola tanto che non riuscivo neanche a parlare.

Questo è  un po’ il riassunto della mia visita ad Aushwitz grazie alla quale io sono ormai sicura che un evento  come la Shoah vada ricordato ed elaborato  ,specialmente nelle scuole,  perché l’informazione è il miglior modo per sconfiggere l’ignoranza che è causa di queste irreversibili tragedie.  

Caldarola Angelica 3ECOTUGNO

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